Poesia e web reputation: storia di un pentimento d’editore

Anders Carlson-Wee (in foto) è un giovane poeta. The Nation – la più antica rivista statunitense ancora in corso di pubblicazione (fondata nel 1865) – ha ospitato sul suo sito web, il 5 luglio, una poesia inedita di Carlson-Wee, dal titolo “How-To”. Successivamente alla pubblicazione, la poesia è stata aspramente criticata per i suoi contenuti, e per la scelta dell’autore di affrontare il tema nella lingua chiamata African-American Vernacular English (spesso abbreviato in AAVE), ossia la lingua vernacolare degli africani americani, che a volte viene utilizzata, con intenti letterari, anche da scrittori bianchi, come è appunto nel caso di Carlson-Wee in “How-To”.

If you got hiv, say aids. If you a girl,
say you’re pregnant––nobody gonna lower
themselves to listen for the kick.[…]

La voce narrante è quella di un senzatetto, che, perso in un dialogo solipsistico, arriva a sviluppare una parodistica “guida all’elemosina” (un how-to, appunto) dove sono elencati alcuni espedienti volti ad attirare l’attenzione dei passanti, giocando ad esempio sui pregiudizi morali di questi ultimi, oppure inventando o accentuando la sua stessa condizione personale di indigenza.
Come accennato prima, il tema forte di questa poesia, passato per di più attraverso l’utilizzo dell’idioma degli africani americani, ha suscitato alcuni – scontati – pruriti tra i lettori della rivista. Fin qui, “tutto ok”; siamo nell’ormai solito, quotidiano, circo web-democratico. Quanto è seguito a queste polemiche, invece, è un caso eccezionale per The Nation (rivista che, tra le altre cose, ha pubblicato, nel corso della sua lunga esperienza editoriale, tra i più importanti autori americani; Elizabeth Bishop e Adrienne Rich, per citarne solo due), che, per estensione, pone delle domande più generali riguardanti il futuro dell’intera editoria web. Circa 20 giorni dopo la pubblicazione della poesia, difatti, le due editrici della sezione di poesia di The Nation, Stephanie Burt and Carmen Giménez Smith, sono intervenute personalmente sulla questione, attraverso un comunicato stampa in cui si sono dette pentite «di avere pubblicato la poesia “How-To”». Di più, il comunicato è stampato nella pagina stessa del sito di The Nation dove si legge la poesia. Brrrrr.
A seguito di questo fatto Katha Politt, redattrice della stessa The Nation (ed essa stessa poetessa), ha commentato:

“I can’t believe @thenation’s poetry editors published that craven apology for a poem they thought was good enough to publish”

Personalmente, aderisco alla posizione della Politt. Un editore deve basare le sue scelte guardando solo ai meriti artistici dell’opera che gli viene presentata da un artista. E, se la poesia di Carlson-Wee è finita su The Nation, vuol dire che meriti artistici questa opera –  secondo il giudizio stesso delle due editrici! -, ne aveva.
Come interpretrare, allora, questo pentimento d’editore?

Il controllo diffuso delle opinioni degli utenti, riguardo un prodotto o un tema del momento, è quello che nel social managing viene definito “monitoraggio della web reputation”. Dovremmo, a questo punto, interpretare il pentimento delle due editrici come una semplice modalità di intervento di risoluzione di quella che i social manager, nel gergo della loro disciplina, chiamano una crisi?
In sintesi: pentirsi, al fine di salvare l’immagine del proprio brand (e quindi conservare i clienti ad esso associato); vedi, il “mea culpa” di Barilla.

Cosa si poteva fare? Le due editrici avrebbero potuto approfittare di questa polemica per istruire i propri lettori su questioni letterarie: magari parlando della mimesi stilistica – quello che nei fatti è l’espediente stilistico al centro di “How-To”. Invece, hanno preferito il pentimento del giorno dopo e la strategia aziendale, riducendo, quindi, un prodotto artistico a un prodotto commerciale. È uno dei passi dell’inesorabile marcia che conduce alla finale e definitiva trasformazione del prodotto artistico in prodotto: punto?

 

Link al testo completo della poesia “How-To”.

[Immagine via: https://www.anderscarlsonwee.com/]

 

11 pensieri su “Poesia e web reputation: storia di un pentimento d’editore

  1. Agato ha detto:

    Più che rivista di poesia parrebbe un giornaletto scandalistico; d’altronde è ciò che vende. La poesia è esteticamente mediocre, ma sarebbe significativa se non fosse accompagnata da inutili parole sensazionalistiche: ‘if you got hiv, say aids’,’cock a knee funny’. Comunque, ‘tanto rumore per nulla’ (ma loro campano di questo).
    Gli ‘artisti illuminati’ (tra poeti, pittori, etcetera) non mancano, da sempre il grande guaio nel mondo dell’arte è la cronica mancanza di critici di qualità, di spacciatori di arte di qualità. Questa è una poesia mediocre proprio perché il poeta si burla di chi la legge, semmai le due redattrici dovrebbero scusarsi per questo.
    Se un poeta cerca la notorietà, e per questo sentimento si piega a infarcire la poesia di oscenità (l’oscenità non è la parola ‘cazzo’, osceno è il beffarsi del lettore), automaticamente questi è un mediocre, e non merita citazione. Per questo i più grandi poeti nascono dal niente; scrivono per pura ispirazione; ciò che è sopra di loro.

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      • Agato ha detto:

        Non mi occupo di movimenti. Michelangelo a quale movimento apparteneva? E Dante? Quelli sono appellativi che utilizza una certa critica per questioni di comodità, per distinguere un determinato artista (‘facente parte di tale corrente’). L’arte è arte. Poi ci sono anche artisti che vogliono sentirsi loro stessi parte di determinate correnti (e magari che vorrebbero sentirsi dare del ‘la massima espressione del…’), ma in genere l’arte è anarchia, l’intima espressione dell’Io di una determinata persona; e questo non lo si può imbrigliare in ‘correnti’, perché già significa contenerlo. A fine carriera, sì… ‘pittore cubista’, per comodità, ma Picasso dipinse anche opere realistiche pregevoli. Per dargli una specifica dimensione nel vasto panorama artistico… ‘cubista’.
        Senza il ‘manifesto futurista’ non ci sarebbero stati gli ‘artisti futuristi’? Così fosse… quanto potrebbero valere quegli artisti e quelle loro opere? E’ più facile che un artista venga contaminato dall’opera di un altro artista che da un manifesto; poi tutto può ispirare, per carità.

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      • mezzaginestra ha detto:

        Mah guarda, sono il primo a non volersi occupare affatto di movimenti, ché sono etichette. Ma, appunto, fanno comodo. Alla fine, le utilizziamo per “economia del discorso”: ti ho detto “movimento futurista” presupponendo che tu avessi una certa cultura (che mi è sembrata scontata, dato il tuo genuino interesse per l’argomento 🙂 ). E se ho parlato di futurismo, è appunto perché in quel movimento c’è questo sbeffeggiamento del lettore, cui ti riferivi.
        P.S. 1. Non posso soffrire il futurismo
        P.S. 2. Mi trovi ovviamente – ora che ti ho reso chiaro il motivo del mio riferimento ad un movimento – sul tuo discorso.
        P.S. 3. È sempre così bello che discorsi sull’arte abbiano spazio, quindi ti ringrazio per i tuoi “contributi” (altra parolaccia!)

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      • Agato ha detto:

        E’ comodo, certo, è comodo poi… per inquadrare un artista.
        Io stesso la mia poesia l’ho definita ‘verista’, perché il suo tratto distintivo è che rappresenta la realtà; non una realtà verosimile come per il verismo romanzato del Verga,
        ma la realtà vera e propria.
        Allora, ci sono anche le definizioni slegate alle correnti o che ne possono creare di nuove; io non sono ‘quel’ verista, ma un ‘verista autobiografico’.
        Questa mia definizione, tuttavia, non ha castrato la mia espressione artistica; io rappresentando me stesso mi sono dato anche a poesie fantastiche che veicolavano un determinato messaggio, forse ispirato dalle opere del Voltaire o dai vangeli cristiani… chissà.
        L’altro verismo non lo conosco come movimento, come non conosco gli altri. Io distinguo un’opera da un’altra grazie alla sua propria bellezza, al messaggio che io credo questa veicoli. L’opera letteraria futurista non la conosco; l’opera pittorica futurista mi pare interessante, anche se spesso esteticamente brutta.
        Le mie sono sempre opinioni ignoranti, e così mi piace che siano; non giudico l’opera contestualizzandola in una corrente artistica, piuttosto tra le altre opere dell’artista stesso.

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  2. affascinailtuocuore ha detto:

    grazie! Il mio cinsmo mi spinge a pensare che, al di là della pericolosità di una censura di questo tipo, ci sia un’operazione commerciale…o forse di “lancio” della poesia, che onestamente non vedo così riprovevole, ma abbiamo a che fare con il mondo Americano, così ricco di contraddizioni. Bigotto fino all’inverosimile e innovatore oltre ogni limite. Le contraddizioni sono parte della sua anima, Whitmann docet. Un saluto

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    • mezzaginestra ha detto:

      Non sono d’accordo che tutta la querelle sia stata studiata a tavolino per commercializzare la poesia: questo seguirebbe una logica da cospirazionismo, cosa che tendo sempre a non considerare.
      Sono invece d’accordo con la seconda parte del tuo commento. Per di più, The Nation è un punto di riferimento della cultura progressista statunitense… figurarsi.
      Un saluto a te.

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